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La festività del 2 febbraio è una delle Dodici Grandi feste che la chiesa Bizantina celebra durante l’anno liturgico.
Secondo le testimonianze della pellegrina Egeria, a Gerusalemme, già nella seconda metà del IV secolo, il 2 di febbraio veniva solennemente celebrata questa ricorrenza. Egeria non ci fornisce il nome di tale festività ma afferma che: “Il quarantesimo giorno dopo l’Epifania è qui celebrato veramente con grande solennità…vi è una processione fino alla basilica dell’Anàstasis (Santo Sepolcro) e tutto avviene con grande letizia, come per Pasqua”. Sempre la stessa Pellegrina, inoltre, ci fornisce la testimonianza che il Vescovo in questa occasione legge e commenta il brano del Vangelo di Lc 2, 21-39. Già a partire dal V-VI secolo la festa viene celebrata anche ad Alessandria, ad Antiochia e a Costantinopoli e, alla fine del VII secolo, come attestato dal Liber Pontificalis, viene anche introdotta a Roma da Papa Sergio I (687-701), un Pontefice di origini orientali che introdurrà in Occidente anche le feste della Natività di Maria (8 settembre), dell’Annunciazione (25 marzo) e della Dormizione della Madre di Dio (15 agosto).
La celebrazione del 2 febbraio riprende l’episodio narrato dalla pericope Lucana al secondo capitolo. Secondo tale racconto, i genitori di Gesù, seguendo le prescrizioni della Legge a riguardo dei primogeniti maschi, al quarantesimo giorno della nascita del bambino lo conducono al Tempio per presentarlo al Santo dei Santi mediante il Sacerdote che lo accoglie e allo stesso tempo offrire l’offerta prescritta di due colombe. In questa circostanza ad accogliere il Bambino è l’anziano sacerdote Simeone, giusto vegliardo e la profetessa Anna, simboli dell’umanità che attende l’incontro con il proprio creatore.
L’importanza dell’Incontro di Gesù con l’anziano Simeone
La chiesa Bizantina celebrando tale ricorrenza concentra la sua attenzione e vuol soprattutto sottolineare l’importanza dell’”incontro” (Hypapantì) di Gesù con l’anziano Simeone, cioè dell’incontro dell’Uomo nuovo con l’uomo vecchio. Questo incontro è l’adempimento dell’attesa di tutto il popolo di Israele, rappresentato nelle figure di Simeone ed Anna, che finalmente si incontra con il suo Creatore. Ciò che avviene al Tempio di Gerusalemme è il primo incontro pubblico tra il Verbo di Dio che si incarna, e il suo popolo ben rappresentato dalle due figure che accolgono Gesù. La festa nella tradizione bizantina ha un giorno pre-festivo (proeortia) e un tempo di dopo festa, un’ottava (metheortia). I tropari delle varie ufficiature delle festività, molto ricchi e profondi a livello cristologico, sono opera di importanti autori come Romano il Melode, Giovanni Damasceno, Andrea di Creta ed altri scrittori appartenenti alla grande tradizione di innografi bizantini. Sono dei testi che sottolineano, come abbiamo già detto, il mistero dell’Incontro del Verbo di Dio incarnato con l’uomo, il nuovo Bambino, il Dio prima dei secoli che si abbassa (kenosi), che viene incontro all’uomo per ricondurre l’uomo a Dio. I testi presentano anche delle ricche e stupende confessioni cristologiche impiegate per via di contrasto: “Colui che portano i cherubini e cantano i serafini… ecco nelle braccia di Maria… nelle mani del santo vegliardo…” ed anche una raccolta di immagini bibliche applicate alla Madre di Dio con un retroterra chiaramente cristologico: essa è “celeste porta, trono di cherubini, nube di luce…”Anche in riferimento a Simeone troviamo delle belle immagini espresse per mezzo di contrasto: “…portando la Vita, chiede di essere sciolto dalla vita…”. Inoltre questo stesso tropario si conclude con un riferimento direttamente pasquale: “Lascia che io me ne vada, o Sovrano, per annunciare ad Adamo che ho visto il Dio che è prima dei secoli fatto bambino”. La dimensione e il senso Pasquale è fortemente presente nella festa del 2 febbraio essa ne è un annunzio, un’anticipazione e una prefigurazione evidente. Il tropario della festa sintetizza queste tematiche in maniera molta eccellente: “Gioisci, Madre-di-Dio Vergine piena di grazia: da te infatti è sorto il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, che illumina quanti sono nelle tenebre. Gioisci anche tu, o giusto vegliardo, accogliendo fra le braccia il liberatore delle anime nostre che ci dona anche la risurrezione”. La frase finale: “ci dona anche la risurrezione” è molto vicino alla conclusione del tropario pasquale: “…e a coloro che sono nei sepolcri ha fatto il dono della vita”.
L’icona della festa
Anche l’icona della festa riprende le tematiche sopra indicate e ha come retroterra i testi di Es 13, la presentazione dei primogeniti, e soprattutto il brano di Lc 2,22-39 dell’incontro di Gesù con Simeone. L’icona mette in luce particolarmente la tematica dell’incontro di Dio con l’uomo e manifesta ancora una volta il grande mistero dell’Incarnazione. La distribuzione iconografia è molto chiara: Gesù bambino al centro, poi ai lati in un primo livello Maria e Simeone, ed in un secondo livello Giuseppe e Anna. In fondo l’altare ed il baldacchino che lo copre, riprendendo la distribuzione tipica dell’altare cristiano: baldacchino, altare ed evangeliario sopra. Elemento particolare da sottolineare è la somiglianza di Simeone ed Anna, come disposizione e caratteristiche iconografiche, ad Adamo ed Eva nell’icona pasquale della discesa di Cristo agli inferi, con gli stessi sguardi di Simeone ed Adamo, e di Anna ed Eva verso Cristo. Nell’icona della presentazione al Tempio è Simeone che si china per accogliere o meglio abbracciare Cristo, in quella di Pasqua è Cristo che invece si china per accogliere e abbracciare Adamo. L’icona della festa dell’Incontro diventa la prefigurazione e l’annuncio dell’altro grande Incontro, quando l’Uomo nuovo, Cristo scende nell’Ade per prenderne l’uomo vecchio, Adamo e riportarlo alla vita.
La tradizione rituale in occidente
Nella tradizione rituale bizantina per la festa del 2 febbraio non è rimasta traccia della processione che si celebrava a Gerusalemme e di cui ci dà testimonianza Egeria nel IV secolo. In Occidente, invece, si è conservata tale usanza e nei secoli si è anche aggiunta la consuetudine di benedire i ceri. Qualche studioso sostiene che tale usanza deriva anche da un’antica processione lustrale in uso nel mondo pagano dell’antica Roma (l’amburbale). La tradizione latina in questa festa, almeno fino al Concilio Vaticano II, rifacendosi alle antiche leggi e prescrizioni ebraiche secondo cui la donna è impura a causa del sangue mestruale per 40 giorni se il figlio è maschio e per 66 giorni se la figlia è femmina, poneva l’attenzione sulla “Purificazione della madre di Gesù”.
Se prima del Concilio Vaticano II la festa della Candelora era detta appunto “Purificazione della beata vergine Maria”, a seguito del 1965 il 2 febbraio andò quasi esclusivamente ad identificare la celebrazione della Presentazione al Tempio di Gesù ma in modo particolare della Candelora “Benedizione delle candele“, simbolo della luce Divina venuta nel mondo per rischiarare le genti.
Il cantico di Simeone
29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, 30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, 31preparata da te davanti a tutti i popoli: 32luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Luca 2,29-32
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